Di nuovo l'8 marzo. Un anno fa commentavamo pieni di aspettative i programmi dei due schieramenti elettorali: ne avete poi più sentito parlare?
Dalle elezioni a oggi i problemi della partecipazione femminile al mercato del lavoro hanno raggiunto le prime pagine dei giornali solo quando la Ue ci ha ingiunto di equiparare l'età di pensionamento di donne e uomini. Dopo di che, a parte stupri e pubblicità offensive della dignità umana prima ancora che delle donne (chissà perché i cattolici a questo non si ribellano), il fatto che l'Italia sia, tra i Paesi avanzati, uno di quelli con maggiori differenze nel modo in cui donne e uomini partecipano alla vita economica, non sembra colpire nessuno.
Sommando il lavoro a casa e nel mercato, le donne italiane lavorano quasi 2 ore in più rispetto agli uomini. Ma lavorano circa tre volte più degli uomini a casa e la metà degli uomini nel mercato. In conseguenza di queste differenze che originano nella divisione dei compiti nelle famiglie (qui sta il cuore del problema), le donne investono di meno in quello che serve per competere con gli uomini nel mercato del lavoro (tanto ad esse è destinato il lavoro in famiglia), guadagnano di meno dei loro compagni e non raggiungono i livelli più alti delle gerarchie aziendali pubbliche e private (a meno di rinunciare alla famiglia, cosa che gli uomini non sono costretti a fare).
I casi sono due: o va bene così e queste differenze corrispondono a quello che le donne e gli uomini italiani desiderano, oppure finiamolo con la farsa di ricordarci del problema una volta all'anno e iniziamo a parlarne seriamente.